Troglodita Tribe S.p.A.f. (Società per Azioni felici)

8 marzo 2024

E IL CANE INCONTRÒ IL QUARTIERE – Dal sud una nuova idea di convivenza

Intervento a cura di Troglodita Tribe andato in onda durante
la trasmissione radiofonica “Restiamo Animali”

“E IL CANE INCONTRÒ IL QUARTIERE – Dal sud una nuova idea di convivenza” è il nostro nuovo libro, anche se in realtà, più che libro, ci piace definirlo come una zampata alla classica idea di cane pet, di cane il cui scopo è solo quello di tenerci compagnia. Un’idea di cane che, in definitiva, ci ha portati a trasformarlo in oggetto di proprietà, in merce che si può scegliere, comprare e rottamare nei canili quando non serve più, quando non piace più.
Quest’idea di cane FEFE (ovvero Felice e Fedele. Così lo definiamo nel nostro libro) è tutta occidentale e, per quanto possa sembrare strano, ha origini piuttosto recenti.
Durante gli studi e la ricerca che hanno preceduto questo libro è stato molto sorprendente anche per noi scoprire tutti i particolari su come, in realtà, quest’idea di cane nasca proprio per una questione di marketing, una questione legata alle necessità della nascente industria del pet-food. Solo in seguito sarà poi cementata anche dalla letteratura e dal cinema fino ad arrivare ai giorni nostri per convincerci definitivamente di quanto un cane senza un padrone debba essere sempre e comunque catturato e rinchiuso.

Quello del cane di quartiere, invece, è un concetto fortemente destabilizzante, proprio rispetto alla mitica accoppiata cane-padrone che, come ci rivela la parola stessa, condanna colui che definiamo il nostro migliore amico al rango di servitore perché, ovviamente, se c’è un padrone deve anche anche esserci un individuo che non ha altra scelta se non quella di obbedire.

Il cane di quartiere è quindi una rivoluzionaria pratica legislativa partita dal basso, dal Sud Italia, una pratica che ribalta un’idea di cane ormai diffusa e stratificata nel nostro immaginario e che ha spinto inesorabilmente (e purtroppo spinge ancora oggi) ad utilizzare strategie ciniche e ingiuste come quelle dei canili, delle catene e delle deportazioni.
Perché il cane di quartiere è un cane che non ha un padrone, un cane che viene adottato da una comunità, un cane che vive libero sul territorio, che viene nutrito e monitorato da volontari riconosciuti da regolamenti regionali.

Il libro descrive le origini, il contesto e le caratteristiche di questa diversa sensibilità che considera finalmente il cane come un membro della comunità, un individuo che crea relazioni, che partecipa agli eventi pubblici diventando un vero e proprio “collante sociale”, promuovendo rapporti basati sulla cura, stimolando pensieri trasversali sulla libertà, sulla diversità e sulla condivisione degli spazi.

Si tratta di una pratica dal forte impatto sociale, che si riferisce a un immaginario molto più antico ma ancora vivo e vegeto, quello relativo al patto di mutuo aiuto che abbiamo stretto anticamente con i cani. E infatti la cittadinanza è molto coinvolta quando entra in confidenza con i cani del proprio quartiere, tanto che, molto spesso, quando muoiono, si sente la necessità di dedicare loro una targa, un murales o un monumento che li ricordi.

Non è un caso che intorno al cane di quartiere si sia aperto un acceso dibattito che tocca diverse sensibilità perché, di fatto, si tratta della prima forma ufficializzata di convivenza tra noi e un’altra specie libera, inserita nelle comunità e partecipe della nostra vita quotidiana. Una specie, quella dei cani, a cui viene finalmente riconosciuto il diritto di cittadinanza, il diritto a una vita libera e quindi il diritto a prendere decisioni, a scegliere come muoversi e con chi stringere relazioni.

Si tratta di uno spiraglio antispecista che è solo all’inizio, che ha bisogno di essere conosciuto e sostenuto, soprattutto da tutte quelle persone che sentono l’importanza di tornare a considerare i cani per quello che sono, i meravigliosi compagni della nostra evoluzione.

“E IL CANE INCONTRÒ IL QUARTIERE – Dal sud una nuova idea di convivenza” di Troglodita Tribe è un libro Pop Edizioni, lo si trova sul sito di Pop Edizioni https://popedizioni.it/prodotto/e-il-cane-incontro-il-quartiere/ e nelle librerie indipendenti. Per scelta dell’editore non si trova su Amazon né sugli altri store online della grande distribuzione.

5 Maggio 2023

È tempo di mordere

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È tempo di mordere (Storie minime di cinofilia nera) è un libro decisamente schierato dalla parte dei cani ma, già dal titolo, non promette nulla di buono per la vecchia retorica del miglior amico dell’uomo, quella che lo vede sempre rassegnato a obbedire, a sacrificarsi, a servire e a subire.

Se poi passiamo al sottotitolo: Storie minime di cinofilia nera, entriamo facilmente nel vivo di una vera e propria ribellione con tanto di morsi fatali e atroci disgrazie che colpiscono senza pietà gli umani che maltrattano, trascurano, incatenano, picchiano, abbandonano e sfruttano i cani per i loro interessi. Ma non solo, perché a fare una brutta fine ci sono anche quelli che li trattano da peluche viventi, da figlioletti stupidi che non possono sporcarsi, annusare, uscire, correre.

A qualcuno potrebbe sembrare un’esagerazione, ma è stato più forte di noi, a un certo punto abbiamo dovuto sguinzagliare la cinofilia nera, è stato necessario.

Il fatto è che dopo anni di convivenza con i cani nelle situazioni più disparate, dopo anni di attivismo, di volontariato nei canili, dopo aver scritto alcuni libri su di loro, abbiamo capito che ce n’era un gran bisogno.

Vedevamo cani trainati al guinzaglio come sacchi di patate, cani abbandonati in strada, ma anche in giardino o in salotto per intere giornate, cani che non potevano neppure avvicinarsi alle meravigliose e olezzanti piste da annusare, cani-robot talmente condizionati da inseguire e riportare sempre la stesa pallina, per tutta la vita, cani ridotti in catene con la sola colpa di aver scavato qualche buca in giardino.

Non ne potevamo più e allora abbiamo cominciato a immaginare e a gustare istanti di sublime rivolta. Vedevamo quei cani girarsi improvvisamente e staccare a morsi quella maledetta mano che li teneva sempre legati a un guinzaglio ormai diventato un cappio, vedevamo i canini scintillare in una notte di luna piena, vedevamo morsi carpiati, tendini strappati, ossa tranciate. Erano visioni emozionanti e surreali che ci caricavano, che ci permettevano di buttare alla malora l’odioso ruolo di padrone perché, finalmente, quegli stessi cani erano liberi di annusare, di incontrarsi, di abbaiare, di essere veramente cani e correre all’assalto della città.

Le storie minime di cinofilia nera che rendono gustoso questo libro, sono quindi brevi, lapidarie, feroci e al limite della scorrettezza, ma anche ironiche nella loro sanguinaria esagerazione. Sono tutte dedicate a chi sceglie di stare fino in fondo dalla parte dei cani, a chi vuole respirare di sollievo nel gustarsi gli stuzzicanti assalti mortali dei pelosi più belli del mondo.

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Ogni storia mette in luce una diversa forma di maltrattamento e di ingiustizia perpetrata ai danni di un cane, a volte è plateale, ma ci sono anche quelle più sottili, più veniali, quelle meno considerate, anche quelle che in molti giurano di praticare per il loro bene. Ma c’è un particolare: vengono tutte smascherate inesorabilmente e punite in modo sanguinoso affinché risaltino in tutto il dolore che, nella realtà dei fatti, stanno provocando. Perché questo è un libro in cui i cani di tutto il mondo, finalmente uniti, ringhiano, mordono affondando i denti e scuotendo il muso, senza pietà. E la Cinofilia Nera è quindi un nuovo modo di intendere l’amore per i cani, un amore più selvatico e sincero, un amore tra il noir e il rosso sangue. Un amore che racconta la loro riscossa, che ulula abbaia e ringhia.

All’inizio di “È tempo di mordere” trovate anche un’interessante nota di approfondimento scritta da Roberto Marchesini, il noto etologo, filosofo e zooantropologo antispecista che, dopo aver letto il libro, si è subito schierato con passione dalla parte della cinofilia nera.

per maggiori informazioni
https://popedizioni.it/prodotto/e-tempo-di-mordere-storie-minime-di-cinofilia-nera/

15 aprile 2024

Biondo l’Anarchico il cane di quartiere di Pozzuoli

“Biondo l’anarchico cane di quartiere di Pozzuoli” è una preziosa testimonianza, un breve filmato sulla vita di un cane di quartiere raccontata direttamente da chi, da sempre, ha protetto la sua libertà.

Biondo andava spesso al mare, amava il quartiere dove è nato e ha vissuto fino all’età di ventidue anni.

Durante la sua lunga vita è stato più volte segnalato da volontari incompetenti, catturato e rinchiuso in canile. Fortunatamente ha potuto contare su una rete di persone che si è formata spontaneamente intorno a lui. Soprattutto su Michelangelo che lo ha sempre riportato sul suo territorio e che, per evitare le continue segnalazioni, è stato costretto ad adottarlo formalmente, pur continuando a garantire la sua libertà nei Giardini del Tempio di Serapide, il suo luogo preferito.
Michelangelo, verso la fine della vita di Biondo, ha anche messo a disposizione la sua casa per ricoverarlo durante la notte.

Giulia, Michelangelo e Massimiliano, che potrete vedere in questo video, non sono educatori o esperti cinofili, ma la loro testimonianza spontanea è forse ancor più preziosa perché ci dimostra con naturalezza come una libera convivenza con i cani di quartiere è davvero possibile.
#giùlemanidaicanidiquartiere#chiudiamoicanili#antispecismo#liberazioneanimale

Per chi volesse ripercorrere le origini, il contesto e le caratteristiche del cane di quartiere (la prima forma ufficializzata di convivenza tra noi e un’altra specie libera) segnaliamo il libro: “E il cane incontrò il quartiere – Dal sud una nuova idea di convivenza” di Troglofi Tribe – Pop Edizioni
Qui itrovate info e un anteprima https://popedizioni.it/prodotto/e-il-cane-incontro-il-quartiere/

17 marzo 2024

FURIA CANE EVASO E RESISTENTE

Filed under: cani, cani liberi — Tag: — Fabio Santa Maria @ 5:30 PM

L’ennesima ingiustizia.
Furia, cane libero, cane conosciuto e apprezzato dalla gente di Calvizzano (comune di dodicimila abitanti nella cintura metropolitana di Napoli), viene rinchiuso in canile.
Dalle notizie di cronaca si scopre che una persona, senza alcun motivo concreto, lo segnala alle autorità che dispongono la cattura e l’internamento nel canile di competenza, quello di Castel Volturno, distante trenta chilometri.

Ma dopo una vita libera, Furia non ci sta.
Una notte riesce a distruggere la rete di recinzione del canile, riesce a evadere, riesce a percorrere i trenta chilometri che lo separano da “casa” sua, dal suo territorio, dai suoi affetti e da tutte le relazioni che ha stretto durante una vita trascorsa a Calvizzano. Ed è proprio lì che gli abitanti del paese lo ritrovano felici per quella ostinata presenza di cui, in molti e molte, già sentivano la mancanza.
Il sindaco, interpretando il sentore popolare, pubblica un post sui social in cui si dichiara stupito ed emozionato per il senso di appartenenza alla comunità dimostrato da Furia. Racconta che “È scappato dal canile, ha rotto la gabbia, ha superato il muro di recinzione e, da Castel Volturno, è tornato a Calvizzano. Incredibile.”

Anche molti commenti della gente del posto sono decisamente schierati dalla parte di chi resiste.
“Ciò dimostra quanto sbagliate a farli accalappiare…. viva la libertà!”
“Lo lascerete libero finalmente?”
“Lui non vuole stare chiuso in una casa, per quanto calda e confortevole possa essere, lui vuole la sua libertà, nel suo territorio, circondato dall’amore che tutti loro gli danno. Scapperà anche con la famiglia più buona del mondo.”
“Se lo adottano scapperà di nuovo, perché per lui il suo posto è là.”
“Anche con mio nipote è molto affettuoso e lo riconosce subito da lontano.”
“E il motivo di farlo accalappiare e metterlo all’ergastolo a vita in canile?”
“Perché catturare?????? PERCHÉ?”
“Adottiamolo tutti!”

Nel Sud Italia i cani liberi resistono, popolano i nostri insediamenti, abitano nei paesi e nelle città entrando a far parte delle varie comunità locali, stringendo relazioni, rapporti di amicizia e affetto. Tanto che la loro presenza libera è stata anche regolamentata da apposite norme regionali che, in alcuni casi, attestano esplicitamente il loro diritto a vivere liberi nella zona che hanno scelto.
Si tratta di norme che vengono dal sud, ottenute premendo dal basso, dal “buon senso” popolare della gente che, conoscendo personalmente questi cani che gravitano in determinate vie, piazze, aiole e talvolta nei pressi dei cimiteri, delle stazioni, dei negozi o dei centri commerciali, cani conosciuti, esperti, competenti, hanno cominciato a chiedersi che senso potesse avere catturarli e rinchiuderli in un canile.

La popolazione del sud riconosce, apprezza e appoggia la loro presenza, ma purtroppo c’è anche chi la libertà non riesce a sopportarla. Come è facile immaginare, in una società radicalmente fondata sullo specismo, basta una segnalazione umana, un fastidio umano, un abbaio modulato in modo insistente e la libertà del cane viene messa a repentaglio.
È da notare che queste segnalazioni, che spingono a catturare e a rinchiudere un cane libero sul territorio da anni, un cane perfettamente inserito e apprezzato nella comunità dove risiede, sono sempre fondate sul nulla e quasi mai documentate. Purtroppo, una sparuta minoranza, riesce a condizionare e a incidere in maniera disastrosa.

A noi il compito di schierarci sempre dalla parte di chi resiste, di sostenerlo, di creare ambiti e situazioni in cui possa finalmente trovare spazio, complicità e solidarietà. La questione appare sempre di più come uno scontro tra due forme mentali: libertà contro reclusione, rispetto di una specie diversa contro dominio, chiusura, controllo totale e riduzione a merce.

Per saperne di più sui cani di quartiere

https://popedizioni.it/prodotto/e-il-cane-incontro-il-quartiere/

17 febbraio 2024

IL PANDEMONIO DEGLI ARTISTI E DELLE ARTISTE SENZ’ARTE

Filed under: editoria creativa casalinga — Fabio Santa Maria @ 9:09 am

Il Pandemonio degli artisti e delle artiste senz’arte, disarticolato e sfasato in guizzi superDADAcallifragilistichespiritualspiritosi, proclama senz’alcuna esitazione

dal pulpito palpitante del palcoscenico pluripatetico dei morti di fama.

DI ACCONTENTARSI DELLE BRICIOLE!

Il Pandemonio degli artisti e delle artiste senz’arte proclama, inoltre, che le briciole artistiche seppelliranno il mondo dando alla luce stratosferici paesaggi che sbricioleranno la vecchia madama arte ingioiellata che perirà nel caotico e lussuRAGGIANTE marasma mancino delle manipolazioni senza padroni.

Il Pandemonio degli artisti e delle artiste senz’arte proclama, ancora,

la fioritura di nuove figure creative denominate clochArt che: chiedendo, sgraffignando, trovando, riciclando briciole artistiche realizzeranno,in un pulviscolo di lucenti meteore libertarie,

l’illuminazione cosmica di un’unica arte con l’A cerchiata.

Troglodita Tribe

8 gennaio 2024

ABBANDONIAMO LA PAROLA PADRONE, NON IL CANE!

Filed under: editoria creativa casalinga — Fabio Santa Maria @ 1:36 PM

É iniziato a Modica (RG) un ciclo di incontri -“VIVERE IL CANE CON CONSAPEVOLEZZA”- in cui l’attivismo antispecista si confronta con il mondo della cinofilia.

Mentre la cinofila si occupa della gestione corretta del rapporto con il cane, noi, come scrittori antispeciste tratteranno invece quegli aspetti meno visibili, ma necessari, per contrastare i luoghi comuni e tutta la retorica del cane-pet e del cane-merce. Utilizzeremo uno sguardo diverso mettendo in discussione alcune parole, ma anche portando allo scoperto le pesanti contraddizioni dello specismo che governa il nostro rapporto con i cani e con tutti gli animali.

Questa è la trascrizione del nostro primo intervento dal titolo:

ABBANDONIAMO LA PAROLA PADRONE, NON IL CANE!

Le parole che scegliamo sono materiale sensibile, qualcuno le definisce addirittura materiale incandescente perché, come sappiamo, le parole possono ferire, possono consolare, possono convincere, in breve hanno il potere di cambiare ciò che abbiamo intorno.
È vero che siamo sempre noi, grazie al nostro bagaglio di esperienze come al nostro bagaglio culturale, a scegliere le parole, ma è anche vero che accade il contrario, ovvero che le parole scelte e utilizzate continuamente danno forma alla nostra mente, al nostro modo di pensare.
A proposito di cani, c’è una parola in particolare che ci collega a loro.
Si tratta della parola padrone.
Tutte le volte che pensiamo a un cane, tutte le volte che evochiamo l’idea del cane, subito si presenta anche la parola padrone. Si tratta di un collegamento ormai stratificato nel nostro cervello.
Un cane deve avere un padrone e, se non ce l’ha, sentiamo che manca qualcosa, che l’ordine è stato scosso e che, di conseguenza, occorre a tutti i costi intervenire per ristabilirlo.
La parola padrone deriva dal latino pater che significa padre, che a sua volta porta con sé una serie di significati legati al patriarcato e al maschilismo, all’autoritarismo e alla gerarchia. Di conseguenza, il nostro rapporto con i cani è determinato da secoli proprio da questi significati di cui fatichiamo a liberarci.
È venuto il momento di abbandonare e di superare questa parola, la parola padrone.

Come è facile intuire, un padrone ha un senso solo se può disporre di un servitore, che in questo caso è il cane. Un servitore che è lì apposta per eseguire gli ordini, che ha come scopo principale della sua esistenza quello di obbedire al padrone.
Il padrone, dunque, per essere un vero padrone, ma anche per essere un buon padrone (perché in questo discorso è importante sottolineare che il padrone non è per forza un aguzzino o un violento, ma semplicemente colui che domina, che ordina e che decide), ha proprio il ruolo di imporsi nei confronti del cane, per ottenere ciò che vuole, ma anche per eliminare i suoi difetti, per controllarlo e gestirlo.
Il cane, dal canto suo, all’interno di questa situazione, non può fare altro che servire, nel tentativo di compiacere il padrone. Non è proprio contemplata un’altra possibilità.
È questa la sostanza del rapporto cane-padrone.
Così va a finire che un cane lo consideriamo intelligente quando serve o ci serve e lo consideriamo poco intelligente, inutile o anche stupido, oppure cattivo, o, in ogni caso, poco interessante, poco cane si potrebbe quasi dire, quando non ci ascolta, quando non viene se lo chiamiamo ecc…
In fondo, se sei un padrone, che te ne fai di un cane di questo tipo? Di un cane che non asseconda il tuo stesso ruolo di padrone? Che spezza, nonostante gli sforzi, questa dinamica impedendoci, di fatto, anche di essere dei buoni padroni?
A questo punto occorre però sottolineare e affermare ad alta voce qualcosa di ovvio: questo devastante rapporto cane-padrone non ha nulla a che fare con un rapporto affettivo.

La ragione principale che ci spinge a usare la parola padrone è legata certamente al nostro porci su un gradino più in alto rispetto al cane, al nostro sentirci superiori, coloro che hanno l’onore e l’onere di dominare e decidere cosa è bene e cosa è male per la vita degli altri, di tutti quelli che sono diversi da noi, soprattutto di tutti quelli che appartengono a una specie diversa dalla nostra e che, proprio per questo, consideriamo inferiori.
Questa dinamica si chiama specismo, considerare cioè tutte le altre specie non-umane, tutte le altre popolazioni non-umane come degli individui che, nel migliore dei casi, dobbiamo gestire, controllare, dominare.
Attenzione però: non stiamo parlando di chi è più intelligente o più evoluto o di chi pensa di avere un levatura morale più alta rispetto a un altro. Non stiamo parlando di chi è andato sulla luna o di chi non ci è andato. La superiorità dello specismo (e la nostra è una società fondata sullo specismo) è di un altro tenore: è la superiorità che ci conferisce il diritto di fare ciò che vogliamo nei confronti di chi riteniamo inferiore, usando il suo corpo, condizionando la sua mente per i nostri scopi e per le nostre necessità.
È evidente che tenere un atteggiamento specista nei confronti del cane non ci aiuta a superare la dinamica servitore-padrone, non ci aiuta a trasformarla nell’altra dinamica, quella dell’amicizia, quella della convivenza, quella che si basa sul reciproco piacere di stare insieme. Superare una visione specista, abbandonare il trono della superiorità, della specie eletta, ci può aiutare tantissimo perché consente di valorizzare il cane come individuo, di valorizzare tutte le sue caratteristiche e, infine, di guardarlo con nuovi occhi. Non più come il pet da spupazzare, non più come la bestia da lavoro da sfruttare e neppure come l’eterno figliolino stupido da educare e proteggere. Ma, più verosimilmente, come il fiero animale che, con tutte le sue virtù e i suoi difetti, ha accompagnato per millenni la nostra evoluzione.

Un’altra ragione che ci spinge a usare la parola padrone è che abbiamo paura di perdere il controllo, siamo ossessionati dal bisogno di tenere tutto sotto controllo, sempre, compreso il cane.
I cani, infatti percepiscono e reagiscono, soprattutto attraverso l’olfatto, a messaggi e informazioni che noi non riusciamo a percepire e di conseguenza a comprendere. Questo rende il loro comportamento imprevedibile. Il cane allora ci spiazza, ci fa sentire insicuri scatenando il desiderio di imporci come padroni, con le buone o con le cattive
La sua animalità ci ricorda continuamente l’esistenza del selvatico. Anche solo con il suo abbaiare, ringhiare, correre a perdifiato, rotolarsi nel fango ecc… ci porta letteralmente a casa il selvatico. Ma non solo, il cane tende anche a risvegliare il nostro personale lato selvatico, proprio quello che ci spaventa, proprio quello che vorremmo censurare e relegare nell’inconscio.
Essere consapevoli di queste dinamica, cercare di non cedere al condizionamento del controllo e della paura del selvatico, anzi comprendere che il cane può aiutarci a ritrovare con serenità un sano rapporto con il selvatico, di cui abbiamo un grandissimo bisogno, è certamente un passo decisivo per migliorare e valorizzare la nostra relazione con lui, ma indubbiamente anche con noi stessi.

Condividere una relazione affettiva con un cane, quindi, non significa farsi obbedire ciecamente, ma, più verosimilmente, prendersi cura l’uno dell’altro, condividere la propria vita con l’altro. In poche parole: dedicargli il proprio tempo. Solo con il tempo, nel corso del tempo, è possibile confermare ogni giorno il legame che abbiamo con il cane, è possibile trovare i compromessi, quelli su misura per ogni relazione.
Purtroppo però, il tempo ci manca, lo sprechiamo senza neppure accorgercene ed è anche per questo che ci tiriamo indietro, rinunciando proprio alla relazione con il cane. Lo abbandoniamo.
Attenzione però, abbandonare il cane non significa solo portarlo in un canile o legarlo al palo della statale, ma significa anche non dedicargli il tempo di cui ha bisogno, non tenere conto delle sue necessità, non riuscire ad accettarlo per quello che è: un cane. A quel punto, anche se il cane vive con noi, lo abbiamo comunque abbandonato, perché non c’è più relazione, perché abbiamo ucciso quel noi, quel noi e il cane che deve essere nutrito con il tempo e la condivisione.

Se invece nutriamo la relazione, allora può nascere l’amicizia. Ma dobbiamo sempre tenere conto che sarà comunque una relazione imperfetta, che avrà bisogno di compromessi.
Noi e il cane siamo individui differenti, con esigenze differenti (anche se ovviamente abbiamo molto in comune, ci siamo scelti da tempo immemorabile) e quindi l’unica possibilità per una convivenza serena è il compromesso.
Con il cane dobbiamo mediare tra i nostri desideri e i suoi bisogni.
Abbandonare l’idea del cane servitore, l’idea del cane utile, che serve i nostri interessi e prestare più attenzione al suo essere cane, al suo modo di esprimersi, al suo modo di vivere.
Solo se riusciamo a farlo davvero nasce l’amicizia. Che resterà, sempre e comunque, imperfetta e fondata su un compromesso tra i nostri difetti e quelli del cane.
Quando ci comportiamo da padrone pretendiamo un cane perfettamente sottomesso e vogliamo modellarlo in base alla nostra idea di cane non accettando le sue imperfezioni: è irruento, è timido, non ascolta, non obbedisce, ha paura ecc. dimenticando che anche noi siamo imperfetti, siamo ansiosi, superficiali, molte volte disobbedienti. Quindi non è proprio concepibile e sensato che degli esseri imperfetti pretendano di imporre la perfezione agli altri.

11 dicembre 2023

A NATALE NON REGALARE UN CANE, REGALA UN LIBRO, REGALA UN MORSO!

Filed under: cani — Tag:, , , , — Fabio Santa Maria @ 10:59 am

Uno dei motivi sostanziali che ci ha spinto a scrivere “È tempo di mordere – Storie minime di cinofilia nera”, una delle ragioni per cui abbiamo ritenuto che fosse necessario inserire questo libro nell’ampio panorama della letteratura cinofila, è stato l’impellente desiderio di affermare, senza mezzi termini, con toni volutamente esagerati e anche con tinte tra il macabro e l’ironico, che i cani sono individui con la loro personalità, i loro bisogni, i loro desideri e la loro capacità di prendere decisioni. Sottolineare un fatto così ovvio è quantomai importante soprattutto nel periodo natalizio. Perché il termine individuo, come è facile intuire, non è per niente compatibile con il termine regalo. Non si possono regalare gli individui! Gli individui si possono incontrare, si possono adottare, si possono amare, con gli individui si possono costruire relazioni, ma non si dovrebbero mai incartare, infiocchettare e ficcare sotto l’albero. I regali, quelli veri, quelli belli, possono essere degli oggetti, dei servizi, dei viaggi, delle promesse, delle creazioni. I regali sono simboli, sono testimonianze di affetto, di rispetto, di vicinanza, ma non sono vivi, non hanno un loro carattere, non hanno desideri, pensieri, bisogni.

È soprattutto a questo che abbiamo pensato scrivendo “È tempo di mordere – Storie minime di cinofilia nera”, abbiamo pensato che invece di regalare un cane sarebbe molto meglio regalare un libro sui cani, un libro per capire e per riflettere su questo aspetto essenziale dei cani. E alla fine è nato un libro che è anche un morso! Anzi, sono ottantasette morsi di ottantasette cani che affermano con decisione il loro essere individui. Intendiamoci, sono morsi simbolici, ironici, provocatori, sono come delle vitamine che ti riempiono di energia, che a tratti ti fanno anche sorridere, sono ottantasette storie minime di cinofilia nera che ti proiettano dalla parte dei cani, cani che sono disposti a tutto, che vogliono tornare a essere davvero i nostri migliori amici e non degli oggetti che si vendono, si comprano e si regalano a Natale.

Non cercatelo su Amazon, è un libro Pop Edizioni che trovate solo qui https://popedizioni.it/prodotto/e-tempo-di-mordere-storie-minime-di-cinofilia-nera/ e nelle migliori librerie indipendenti

4 novembre 2023

LIBRI NON LIBRI E IBRIDI LIBRESCHI

Filed under: libri d'artista — Tag:, , — Fabio Santa Maria @ 6:31 PM

Il libro d’artista è un non libro, un libro magico, un libro idea che illumina il panorama editoriale, un libro oggetto che si fa soggetto, un libro in cui i linguaggi volano a vela uscendo dalle righe. Una delle caratteristiche che utilizza con dirompente frequenza per materializzarsi in quella dimensione che ci ostiniamo a chiamare realtà, è certamente la manipolazione.

Manipolazione è una parola che ci riporta prepotentemente alle mani, mani che prendono il libro d’artista, lo scartafaccio, l’effimero e ribelle libello creativo e lo discostano, lo dissociano, lo fanno dissentire, dissonante e divergente, dalla classica serialità dei suoi amati cugini libri editorialmente allineati.

Le manipolazioni sono tutti gli interventi manuali che si possono inserire all’interno della base del testo riprodotto di una microtiratura, della base del libroso discorso immaginario e impaginato che stiamo artisticamente editando. E così possiamo avere copertine manipolate perché il titolo è stato scritto con il rossetto, oppure lo sfondo riprodotto è macchiato con spruzzi vitali di smalto per unghie fuori moda. Possiamo avere pagine scritte a mano e inserite clandestinamente nel bel mezzo del grigiore fotocopiato, possiamo avere schegge di legno a far da tronco per un albero immaginario, possiamo avere tagli, ritagli e frattaglie di spazzatura artistica immessa nella corrente del testo.

La manipolazione, poi, è parola pirata che s’insinua all’arrembaggio dei libri classicamente intesi per trasformarli, per farli saltar via dalla definizione data. Prendete un libro normale, manipolatelo e avrete una diversa interpretazione del concetto di libro, una variante non inventariabile, un ibrido libresco beatamente libero di farsi i libri suoi.

27 ottobre 2023

NON E’ UN CARTONE ANIMATO

Una gabbia, la solita gabbia con dentro animali. Cani questa volta. Cosa c’è di più normale nel nostro mondo, nei nostri pensieri, nelle nostre fantasie, di una gabbia con dentro dei cani?

Se fosse solo per una gabbia con dentro dei beagle, nessuno si sarebbe mai fermato a cliccare su questo filmato. In realtà, il video sembra davvero particolare, perché mostra una vera e propria evasione. Un cane che non usa solo il suo corpo per dimostrare di non volere la prigionia, ma anche la sua intelligenza, la sua curiosità, la sua inventiva, la sua abilità.

Quando sei in una gabbia, quando qualcuno ti ci ha messo dentro, la situazione è studiata per non farti uscire. C’è una porta chiusa e tu non hai la possibilità di aprirla. Semplice. Fuori c’è il mondo e tu devi stare dentro, perché così hanno deciso. Non c’è nulla di più coercitivo. La gabbia si impone su di te, su tutta la tua vita, sui tuoi movimenti, ma anche sui tuoi desideri, sulle tue speranze. La rassegnazione è la reazione più ovvia perché la porta è chiusa, chiusa, chiusa. La rassegnazione t’investe e soffoca ogni opportunità. Il tempo e la logica stanno dalla parte di chi ti ha rinchiuso, di chi è più potente, perché tanto tu non puoi uscire, devi restare al tuo posto, quello che ti hanno assegnato loro.

Ma non sempre, non per tutti. Capita, e capita abbastanza spesso, che qualcuno non accetti questa logica, non si lasci investire dalla rassegnazione, resista all’imposizione. Questo beagle ci prova, esplora, cerca vie d’uscita che altri non vedono. E ne trova una! Difficile non fare il tifo per lui, non immedesimarsi, non sperare ardentemente che riesca finalmente a saltare fuori e correre via verso l’orizzonte infinito, finalmente libero.

Ma questo tifo, molto spesso, è viziato e colonizzato da una miriade di film d’animazione dove animali che parlano e agiscono come umani diventano protagonisti di avventure in cui tutto, alla fine, si rimette a posto. E allora è difficile che questo tifo vada un po’ più in là, difficile che riesca davvero a farci sentire dalla parte di un individuo che realmente sta disobbedendo, lottando, resistendo ad un’ingiustizia, ad una prevaricazione che ci riguarda tutti e tutte molto da vicino. Difficile che ci mostri la realtà di tutti quelli che ci provano, da sempre. Perché si tratta di una realtà tragica in cui questi tentativi falliscono regolarmente, in cui questi fuggitivi vengono quasi sempre braccati, abbattuti, oppure ripresi e rimessi in una gabbia, in un allevamento, in un macello, in un circo, ma anche in un centro di detenzione, in un manicomio, al di là del confine del benessere. Difficile ammettere ed accettare che stiamo tragicamente dalla parte dei cattivi, che abbiamo costruito un mondo fondato sulla gerarchia, sul dominio, sull’imposizione, sui muri, sulle gabbie.

Difficile, talmente difficile che oggi non riusciamo neppure ad immaginarne un altro di mondo, non riusciamo neppure ad abbandonare gli orribili privilegi del più forte. E quando dei cani riescono a saltare anche recinzioni alte due metri, non riusciamo a trovare nessun’altra soluzione se non una rete ancora più alta, una gabbia ancora più chiusa, un canile con ancora più box e più sbarre.

Ma forse è proprio questa la resistenza che dovremmo riconoscere, apprezzare e imparare dagli animali: quella che spinge a non rassegnarsi mai, a cercare sempre una via d’uscita, anche quando la nostra logica tremendamente umana ci farebbe pensare che è davvero impossibile.

Articolo pubblicato da Troglodita Tribe nel 2016 per il blog Resistenza Animale

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4 agosto 2023

Due libri per bambini dalle delicate sfumature antispeciste

Filed under: animali liberi, Antispecismo — Tag: — Fabio Santa Maria @ 3:06 PM

LA SIGNORA MEIER E IL MERLO
di Wolf Erlbruch
Edizioni E/O
Pagine 64 Euro 9

I disegni di questa incantevole fiaba ci consentono di conoscere la signora Meier, che non sorride mai perché è sempre preoccupata: per non aver messo abbastanza zucchero nella torta, per il bottone del cappotto che sta per staccarsi, per l’ansia che, un giorno, forse, un aereo potrebbe cadere nell’orto e rovinargli i magnifici pomodori, il prezzemolo, le patate…
Una mattina, però, proprio nell’orto, trova un piccolo e nudo merlo che pigola disperato. La signora Meier, preoccupatissima, lo raccoglie e decide di prendersene cura, ma anche di insegnargli a volare. Al piccolo, che prenderà il nome di Cippino, giorno dopo giorno, crescono le piume e impara a zampettare, mentre, per la signora Meier, inizia una nuova vita avventurosa. Dovrà salire sugli alberi e mostrare a Cippino… come si vola! Dimenticherà così le sue preoccupazioni e imparerà a sorridere come non aveva mai fatto. Volando nel cielo con Cippino, quasi senza accorgersene, riuscirà a liberarsi dalle sue ansie.
Una favola che, anche grazie ai disegni, si fa surreale e ironica. E’ quindi adatta sia agli adulti che ai bambini, soprattutto a chi si prende cura dei tanti piccoli animali in difficoltà, a chi non riesce a voltare lo sguardo dall’altra parte perché ha a cuore la vita e s’impegna per proteggerla.
Perché, come sanno bene gli attivisti e le attiviste di ogni luogo e di ogni tempo, aiutare un animale significa, sempre e comunque, aiutare anche se stessi.

UN GATTO NON È UN CUSCINO
di Christine Nöstlinger
Edizioni Piemme
Pagine 181

Un libretto adatto anche ai più piccoli (a partire dai 7 anni) che racconta la storia di un gattino e dei suoi tanti nomi. Dopo essere stato separato dalla mamma, dai fratellini e dalle sorelline vivrà con svariate famiglie umane che, appunto gli affibbieranno nomi, abitudini, ritmi, regole e pappe differenti. Soprattutto lo metteranno nelle condizioni di dover rispondere alle richieste affettuose ma stressanti di chi lo vuole obbediente e docile.
Alla fine, dopo mille disavventure con gli umani più diversi, il nostro gatto scopre finalmente la libertà e decide di non accettare più nessun nome, di non rispondere più a niente e a nessuno.
Un libro dalle delicate sfumature antispeciste che consigliamo caldamente a tutti i bambini e a tutte le bambine che desiderano vivere con i gatti. Sarà utilissimo per capire e comprendere sin dall’inizio che l’amore nei loro confronti non si deve confondere con il possesso.
Christine Nöstlinger, infatti, con una storia divertente che si legge piacevolmente fino alla fine, riesce a farci comprendere e sentire nel profondo che tutti i gatti, proprio come noi, provano paura, tristezza, gioia e curiosità, e che occorre quindi prestare molta attenzione per non trasformarli in giocattoli o in esseri inanimati e privi di bisogni ed emozioni.
L’autrice, che ha vinto diversi premi prestigiosi, è nota per il suo approccio anticonformista che rompe con gli stereotipi per affrontare il difficile rapporto tra adulti e ragazzi.
“Un gatto non è un cuscino”, che contiene anche le illustrazioni in bianco e nero di Chiara Carrer, è dunque un piccolo libro prezioso da non perdere.

24 luglio 2023

Valutazioni e pareri professionali sulla vicenda di Nerino

In seguito alla storia e al video (pubblicato su fb e visibile qui), relativo all’entrata in canile di Nerino, il cane di quartiere di Modica che è stato accalappiato per un presunto ringhio, stiamo chiedendo dei pareri professionali a persone che operano nel mondo della cinofilia.
Li forniamo nell’ordine in cui ci vengono spediti.
La pagina è in continuo aggiornamento.


In questo video vedo un cane anziano in forte difficoltà emotiva.Oltre alla classica “coda tra le gambe” che tutti possono notare, si possono segnalare postura del corpo, ritmo della respirazione e micro mimica facciale che lasciano chiaramente identificare un forte stato di ansia e preoccupazione.La nuova situazione in cui viene condotto lo porta al sovraccarico sensoriale (stimoli sonori e olfattivi del canile) e processare una quantità simile di informazioni lo affatica, non solo fisicamente, ma anche emotivamente.Nonostante ciò e nonostante Nerino venga manipolato in maniera invadente e inappropriata dall’operatore (al quale prova a spiegare invano il bisogno di spazio attraverso una serie di segnali di pacificazione, che dichiarano le grandi abilità sociali e comunicative tipiche dei cani a vita libera), Nerino non alza l’asticella e sceglie di aspettare, di stare nel disagio che prova con maturità e sapienza, forse in attesa di evincere un significato situazionale da quell’esperienza.Onestamente in quanto professionista del settore non vedo ragioni valide per le quali questo cane debba essere privato dell’unica risorsa che per un individuo simile è sacra: il diritto di scegliere della propria vita in autonomia e libertà.”
Enrica Ceccarini, scrittrice ed educatrice cinofila professionista esperta in riabilitazione cognitivo comportamentale, relazionale ed emozionale con approccio cognitivo relazionale integrato, Docente AIECI (Associazione Istruttori Educatori Cinofili Italiani) e formatrice.

Se riuscissimo a metterci davvero nei panni degli altri, nella prospettiva di tutti i soggetti che vivono e abitano questa terra, l’unica cosa da dire sarebbe che la tanto amata libertà è un diritto di tutti. È un valore irrinunciabile ed è, e dev’essere, tutelata da tutti noi.
Nerino ha sempre vissuto la sua esistenza in maniera autonoma, indipendente dagli schemi umani, perché è un cane, e come tale esprime i suoi desideri e le sue emozioni esattamente per quello che è.
Nerino ha dieci anni e tutti vissuti completamente dentro una società antropomorfizzata, cioè una società creata per le esigenze umane, dimostrando anno dopo anno di essere un soggetto perfettamente integrato nelle regole umane. Ha mostrato, pur rimanendo Cane, di rispettare gli spazi e l’ambiente in cui sempre ha vissuto. Per un Cane la prossemica, il linguaggio non verbale, il contatto, la voce, la dimensione di relazione, hanno una struttura ben precisa che andrebbe conosciuta. E Nerino ha imparato il nostro linguaggio, le nostre posture, i nostri spazi, ed è perfettamente consapevole di dove vive e come deve viverci. Una convivenza, con cui lui, Cane, ha dimostrato di esser capace di rapportarsi, ma che, al contrario, noi umani non ricambiamo. Fermi ed immobili nelle nostre convinzioni e senza nessuna conoscenza, ci accaniamo a voler un mondo tutto per noi, condannando tutto ciò che ci circonda in quanto diverso. Ma incredibilmente Nerino è stato, ed è capace di integrarsi perfettamente in un mondo non proprio pensato per il rispetto della diversità, dandoci una lezione di vita preziosa di cui dovremmo tener conto.

Maria Mezzasalma Educatrice Cinofila

Mi trovo da una settimana in Sicilia per partecipare ad una serie di incontri sul fenomeno del randagismo e giunge alle mie orecchie la storia di Nerino, cane di quartiere condannato al canile per accuse di aggressività smentite con forza ed evidenza dai cittadini che lo conoscono e da ogni operatore cinofilo che, a vario titolo, lo ha incontrato. Mi unisco, in qualità di presidente di un’associazione che gestisce un canile sanitario e comunale nel nord Italia, alla richiesta indignata di liberazione di Nerino. Fino a quando le istituzioni continueranno ad affrontare i fraintendimenti che sorgono nelle convivenze con un comportamento da “sceriffo”, il randagismo resterà sempre un problema e un grande business. E centinaia di migliaia di cani riempiranno i canili vivendo esistenze precarie, se non addirittura del tutto invivibili. Il tutto a spese dei contribuenti. Auspico che venga applicata la legge regionale siciliana e che tutti i cani deportati possano essere prontamente reimmessi sul territorio. Auspico che la mobilitazione per Nerino si estenda e faccia luce sulla gestione dei burocrati.
Davide Majocchi Presidente del Canile Sanitario e Comunale Pensiero Meticcio odv

“La cosa che mi rattrista di più per Nerino, è l’incapacità delle persone di comprendere che il mondo sensoriale di un cane (e quindi cognitivo), è profondamente differente da quello umano e molto complesso.
Non mi piace fare dei paragoni, ma immaginate una persona anziana, stravolta e portata fuori dal suo ambiente di vita e familiare, dove possiede delle coordinate di sicurezza importanti (ferormonali, olfattive, di comfort) e sbattuta in un posto completamente differente, che rappresenta un frastuono di odori legati allo stress e la detenzione di altri cani, pressochè sconosciuti. Abbiamo centinaia di studi che riconoscono alle persone, soprattutto di una certa eta’, che ambienti differenti da quelli familiari, provocano un grave peggioramento dello stato di benessere psicofisico.
Stravolgere la routine di un cane e le sue coordinate percettive e di sicurezza, soprattutto in un momento come quello della senilità, è un attentato alla sua salute psicofisica: un vero e proprio maltrattamento.
All’inizio del video gli è precluso persino processare il nuovo ambiente e annusare. Gli viene imposto un contatto non gradito che tollera con grandissimo stress.
In nome di quale bene state agendo? Non sicuramente quello di Nerino.
Vergogna! Vergogna! Vergogna! Giu’le mani dai cani di quartiere!”
Claudia Marini Educatore, Istruttore cinofilo SIUA – FICSS (Scuola Interazione Umano Animale) con approccio cognitivo zoo-antropologico. Docente e formatrice.

“Partiamo dicendo che la lettura data da Enrica Ceccarini (la sua valutazione è in cima alla lista) è assolutamente esaustiva. L’andatura, il soffermarsi, quel guinzaglio teso, l’affanno, la persona che sorride col telefono in mano, l’invasione umana e il conseguente volersi sottrarre al contatto mi fanno pensare che non ci sia nulla di giusto in quello che vedo.
Per la mia esperienza è evidente l’enorme difficoltà in cui è stato messo il cane (i vari segni di cui parlava Enrica). Mi sento di sottolineare soprattutto la questione del contatto con l’operatore. In quel momento Nerino è in balia dell’ansia e della preoccupazione che lo porterebbero, sicuramente, ad allontanarsi. Non a mordere, nonostante patisca enormemente la situazione in cui si trova. Nerino è in canile, dopo una vita in libertà, per un presunto ringhio. Lo stesso cane che, come si può ben vedere, se manipolato va in evitamento.
Il mio parere è che dovreste impegnarvi a svuotarli i canili non a riempirli, soprattutto considerando che la libertà è tutta la vita per Nerino, e che un cane del genere ringhia solo se messo alle strette o minacciato, altrimenti, state certi, si sarebbe allontanato. La mia impressione è che questo sia l’ennesimo pretesto per rinchiuderlo a vita.
La maggioranza dei cani del nostro rifugio (L’Armata dei Randagi) sono ex cani a vita libera, semplicemente perfetti nel loro sapersi muovere nel nostro tessuto sociale. Poi, un giorno, arriva l’umano di turno per cui, o il cane è un poveretto che dopo una vita in libertà ha bisogno di qualcuno che lo faccia mettere in sicurezza in canile, o il cane è un problema perché ringhia, abbaia o staziona dove non dovrebbe. Quando a un cane a vita libera viene tolta la libertà perde tutto ciò per cui ha vissuto e, cosa secondo me assolutamente distruttiva, viene messo in un contesto dove ogni sua capacità pregressa non ha campo d’azione.
È cosi che nascono i cani che voi chiamate fobici: con la sottrazione della libertà e l’azzeramento delle capacità.
E basta chiamare rifugi i canili!
Nerino libero ora!”

Stefano Di Caprio Istruttore Cinofilo e Presidente del rifugio L’Armata dei Randagi.

“Vengo a conoscenza della storia di Nerino grazie alla menzione di Enrica, che ringrazio infinitamente , e mi sento onorata di poter dare il mio supporto. Questa vicenda dimostra, per l’ennesima volta, cosa può succedere ad un cane nato libero se, a 10 anni e con i suoi primi acciacchi, prova ad alzare di un tono la sua voce, probabilmente riconoscendo che i dolori e i sensi meno efficienti di un tempo, lo rendono più vulnerabile e più inascoltato. Nonostante questo, accetta di essere condotto da un perfetto sconosciuto e con una corda al collo tesa e corta in un luogo nuovo, rumoroso, senza il tempo e la possibilità di elaborare le informazioni, costretto ad un contatto non richiesto, comunicando il suo disagio usando la coda e la rigidità.
Concordo con tutta la lettura di Enrica, a cui poco c’è da aggiungere.
Nerino ha scelto l’evitamento come risposta alla paura. Strategia assolutamente collaudata negli anni da cane libero e che gli ha permesso di esercitare il suo sacrosanto diritto all’autonomia e alla coesistenza con l’uomo.
Per quanto tempo ancora ci arrogheremo il diritto di togliere la voce ai cani? Per quanto tempo scene come questa non verranno viste per quello che sono, e cioè dei veri e propri abusi? Mi unisco agli altri colleghi nella richiesta che Nerino venga reimmesso nel suo luogo, nella sua casa e abbia la possibilità di trascorrere la sua vecchiaia come sceglierebbe di fare se…solo se…qualcuno lo ascoltasse per davvero.”

Miriam D’Assaro educatrice cinofila

“Questo video parla di una profonda violazione della dignità di un individuo: espropriato della libertà di cui ha goduto tutta la vita, trascinato senza rispetto in carcere, condannato senza processo.
Il fatto stesso che questo cane ha vissuto numerosi anni libero in quartiere è prova evidente che era perfettamente integrato nel contesto antropoformizzato in cui abitava – senza costituire un pericolo o ragione di disturbo per nessuno. E allora perché, proprio nella delicata fase della senilità, privarlo dei suoi riferimenti, abitudini, luoghi e, soprattutto, della libertà di scelta e di autodeterminazione? Perché privare il tessuto sociale in cui Nerino viveva di un così grande esempio di capacità di adattamento e resilienza?
Da specie evoluta quale ci autoproclamiamo, dovremmo avere l’umiltà di guardare con occhi aperti la bellezza che ci circonda e vivere in armonia e con rispetto dell’altro, seppur di diversa specie.”

Giulia Simeone Educatrice cinofila ENPA e AIECI. Gestisce un centro cinofilo in provincia di Brescia e si occupa di formazione e percorsi educativi

“Mi trovavo sul territorio siciliano fino a ieri e, confrontandomi con varie colleghe dell’ambiente professionale cinofilo, sono venuta a conoscenza nei dettagli  della storia del cane  Nerino.
Trovo che spostare il cane da un ambiente carico di stress come il canile ad un altro simile, non abbia alcun senso. Ho visto il video del suo ingresso nell’ultima struttura, presentato come una notizia felice, mentre mostra un cane prostrato e abbattuto nell’animo, rassegnato all’ennesimo spostamento.
Trovo completamente controproducente che Nerino resti detenuto ulteriormente in una struttura, dove viene manipolato contro la sua volontà e dove rischia di abituarsi ad un contesto di vicinanza eccessiva con l’essere umano. Per un cane di quartiere è utile saper usare le distanze e capire se avvicinarsi o meno alle persone che incontra; ne va della sua vita ed evita incomprensioni. Abituarli ad un contatto forzato potrebbe rovinare l’equilibrio che il cane ha trovato nel suo territorio.
Pertanto chiediamo la liberazione immediata di Nerino, come previsto da regolamento Siciliano sui cani di quartiere, regolamento che reputiamo all’avanguardia e simbolo di una voglia di investire in una convivenza reale tra le nostre specie.”

Francesca Suppini, istruttore cinofilo ficcs, presidente del rifugio RIOT Dog.

A proposito di Nerino cercherò di essere breve e diretto.
Il filmato mostra il cane preoccupato, anche un po’ spaventato, ma per niente minaccioso, anzi cerca di comunicare all’operatore una condizione difensiva; infatti, sebbene l’ambiente sia a lui sconosciuto, la condotta al guinzaglio teso non sia la migliore per metterlo a suo agio e le manipolazioni finali dell’operatore stesso che, credendo di rassicurarlo, in buona fede gli piazza una mano in testa, Nerino dimostra di avere comunque un’alta soglia di reattività frutto di anni di convivenza con le persone; in una situazione simile un cane patologicamente aggressivo avrebbe reagito con il famoso ringhio al solo avvicinarsi dell’operatore al veicolo (se non peggio). Se Nerino in 10 anni di socializzazione con uomini e non ha emesso solo un ringhio, non è un cane, è un santo e di sicuro il canile non deve nemmeno vederlo a distanza.
Ringhiare è normale, è un diritto di tutti i cani che si trovano di fronte ad un pericolo.
Purtroppo un video di pochi secondi non basta per una diagnosi definitiva, sia per il bene del cane che per la legge, perché il comportamento potrebbe variare in un altro contesto dove Nerino potrebbe essere meno inibito dallo stato ansioso, ma se, come dite, è stato sequestrato per un ringhio, ciò non basta, ci vorrebbero uno o più morsi documentati dalla vittima e la valutazione di un/a collega veterinario zoopsichiatra (delegato come me o dell’asl) mediante una griglia di punteggi e riabilitato tramite terapia sempre da uno zoopsichiatra coadiuvato da uno o più istruttori cinofili, certamente non languire in un canile abbandonato a se stesso.

Dott. Francesco Velardi medico veterinario esperto in comportamento, educatore cinofilo, zooantropologo didattico, responsabile del centro cinofilo “I noci ” di Caserta.

Se avessi potuto avrei fatto il barbone, perché vivere liberi è una grande cosa.”
Alda Merini

Dal cane libero al cane PET.
Tornando indietro negli anni 80 il mio ragazzo mi racconta sempre di quando veniva accompagnato da un branco di pastori abruzzesi verso scuola .
Non avevano paura e tutto era “normale”.
Nerino 9 anni sul territorio figlio della libertà rinchiuso in una gabbia e manipolato da mani inesperte.
Perché le gabbie ci fanno sentire al sicuro e proteggono ciò che non conosciamo.
Le zoomafie e il traffico di cani diventa ogni giorno più forte alleggerendo la competenza di chi lotta per tutelare il cane secondo il suo etogramma e i suoi bisogni.
Le dinamiche che sono emerse lasciano intendere una scarsa lettura del cane e una scarsa informazione in merito.
La manipolazione e la infantilizzazione del cane ad oggi sono la più alta forma di maltrattamento.
Finché l’uomo si sentirà di essere indispensabile per un’altra specie specifica non ci sarà possibilità di rivincita .
Educazione informazione e cultura sono la chiave.”

Amanda D’Eliseo Ec SIUA Operatore qualificato di canile SIUA Due anni Operatore nel canile di Sulmona.

Osservazioni espresse attraverso la visione del video di entrata in canile di Nerino.
Dai pochi secondi di video e da quello di cui sono giá a conoscenza riguardo il background di Nerino, si puó vedere un individuo spogliato da tutto ció che lo ha reso quello che é e da tutto ciò che andava a formare la sua vita: le relazioni instaurate negli anni, magari dopo averci investito molto, le strade in cui viveva dense di ricordi ma soprattutto, la possibilità di scegliere con cui é cresciuto ed é diventato il Nerino che tutti conoscono.
Nel video vedo un cane non ascoltato, in piena contrazione muscolare, gli occhi spalancati, l’impossibilità di decidere i tempi di approccio alla struttura come anche il poter almeno prendere informazioni. Vedo un individuo che nonostante l’incubo, tenta di resistere alla paura, in qualche modo fiducioso, non si oppone troppo a quei pochi centimetri di guinzaglio che gli stringono la trachea, impedendogli sicuramente di termoregolarsi in modo adeguato. Il contatto finale non é stato chiaramente gradito, segno che il suo assetto emozionale nel qui ed ora erano chiaramente negativi e che nessuno in quel momento riusciva veramente ad ascoltarlo.
Nonostante tutto, Nerino è molto controllato, sopporta, senza dare nessuno stop, esprimendosi solamente con dei chiari segnali di stress, spaesato, privato di tutto. Non vedo nessun motivo per il quale Nerino non debba essere riportato nelle strade in cui ha vissuto tutta la vita, nelle quali ha dimostrato di saper essere un individuo prosociale che non mette nessuno a rischio o pericolo.”
Erik “TestadiCane” Leotine Mediatore della relazione Umano/Cane, gestore del Rifugio senza gabbie Dogs Community Squat “Lo Squat dei Cani”

Nerino viene tenuto al guinzaglio corto, con la mano in verticale sopra il cane, gestione che permette a chi ha il guinzaglio in mano di avere controllo sul cane, ma allo stesso tempo impedisce al cane qualunque esplorazione, anche olfattiva, dell’ambiente. Il cane viene portato verso il box perché deve entrare nel box, come se il resto dello spazio non esistesse, tanto che quando Nerino si ferma e tenta di annusare, viene indotto a proseguire. Come se non fosse importante per il cane capire dov’è e chi lo sta guidando verso il box. L’atteggiamento di Nerino non è altro che lo specchio dell’atteggiamento della persona verso il cane. Anche in box viene gestito spostandolo con il guinzaglio, liberato con cautela, e toccato senza mai entrare realmente in connessione e in contatto sociale con lui. Il cane di nuovo risponde per quello che ha ricevuto, e rimane fermo e passivo, con la coda tra le zampe, evitando il contatto visivo, segnali di stress, insicurezza e un certo grado di timore. Non c’è alcuna reazione al contatto, non di minaccia, non di allontanamento, e non di contatto sociale. Il cane subisce il contatto senza reagire. Sarebbe da valutare lo stato di salute, se ha ringhiato, il ringhio potrebbe essere semplicemente il sintomo di uno stato di disagio fisico e/o di dolore.”
Alexa Capra
Addestratore cinofilo e docente presso Dogs And More

Questo video, anche se breve, fornisce tutti gli elementi per valutare la condizione in cui è stato trasferito come assolutamente dannosa.
Non solo per Nerino, ma per la Comunità stessa alla quale è stato sottratto un individuo completamente inserito.
Nei primi secondi vedo un cane a disagio, spaventato da una situazione caotica e completamente sconosciuta, ma che si affida a quella persona, forse con qualche speranza che lo porterà via da lì o forse perché, dopo dieci anni di libertà, coesistere e fidarsi dell’uomo, per Nerino, è semplicemente naturale.
Durante il percorso le sue emozioni cambiano e quando entra nella gabbia la realtà è diventata chiara: “non sono più libero”. La coda tra le gambe, la postura e l’immobilità ci dicono che Nerino ha iniziato a soffrire immediatamente per questa deprivazione. E così ora, un cane che per tutta la vita ha saputo trovare la sua dimensione ed equilibrio in una Comunità che lo ha accolto dalla gioventù fino alla vecchiaia, viene etichettato come cane che può stare bene chiuso in un box!! Tradito dalle persone che lo hanno reso il cane pacifico e collaborativo che é.
Solo per aver ringhiato, così giustificano questa violenza.”
Evelina Gaspari volontaria di canile dal 2012 Gestore del Rifugio per cani senza gabbie Dogs Community Squat dal 2015.

Mi occupo di monitorare gruppi di cani di quartiere da 11 anni a Palermo. Cominciai casualmente in un periodo in cui lavoravo come operatrice in canile.
La vita dei cani di quartiere ha livelli di qualità molto alti, sebbene si pensi il contrario. Essere liberi di scegliere dove stare e con chi, non ha prezzo. In una società che vuole tenere tutti e tutto sotto controllo, la richiesta di distanza da parte di un cane viene percepita come un problema. La delusione di un giocattolo che non funziona come ci si aspetta, e da qui il rifiuto, l’allontanamento in nome di una fantomatica “sicurezza” che di sicuro ha solo una cosa. Lo svuotamento di ogni senso della vita dell’individuo imprigionato.
Viviamo in un contesto dove non si contano neanche i cani che hanno bisogno di soccorso, di un posto in cui stare al sicuro temporaneamente, eppure assistiamo troppo spesso all’ingresso in canile di cani che non dovrebbero starci, neanche per legge.
Nerino, in questo momento, è stato privato di tutta la sua vita senza aver fatto del male a nessuno. Nerino è un cane di quartiere, e già solo per questo è un patrimonio inestimabile dell’animalità. C’è una comunità che ha condiviso con lui esperienze di crescita uniche. Nerino porta con sé storie di coesistenza e di legami oltre la specie. Dobbiamo proteggere la sua libertà di scelta per se stesso e imparare da lui il valore delle relazioni con gli altri animali. Nerino deve tornare a casa. La sua casa è il suo quartiere.”
Giorgia Matesi, istruttrice cinofila, responsabile LAV Palermo

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