Troglodita Tribe S.p.A.f. (Società per Azioni felici)

27 giugno 2022

DALLA PARTE DI CHI MORDE

Ciclicamente la cronaca ci riporta le agghiaccianti notizie di cani che mordono individui umani, che ne provocano mutilazioni e a volte anche la morte. I casi, per quanto rari, vengono sempre trattati con enfasi e suscitano, come è normale che sia, paura e diffidenza. Soprattutto se ad essere aggrediti sono i bambini, alimentano un immaginario che inquadra il cane, ma più in generale l’animale, come una bestia feroce e pericolosa che deve essere rinchiusa, abbattuta, tenuta lontano dalle nostre pacifiche società evolute e superiori.

Eh sì! I cani mordono.
Questo è un dato di fatto.
Hanno i denti e li usano anche come un’arma, soprattutto per difendersi, quando percepiscono una minaccia o un pericolo.
Questo dato di fatto, che non dovrebbe sorprendere nessuno, è troppo spesso dimenticato o, perlomeno, poco valutato quando pensiamo e definiamo il cane come nostro “miglior amico”.

In realtà, abbiamo sempre cercato di selezionare i cani e manipolarli per ottenere individui fedeli, docili, utili e servizievoli. Individui belli da vedere e da toccare o, al contrario, individui feroci e minacciosi che tenessero lontani i malintenzionati dalle nostre case, ma che fossero anche in grado di sacrificare la vita pur di difendere la nostra incolumità o le nostre proprietà.

In sostanza, li abbiamo scelti anche per la loro naturale aggressività, per il fatto che usassero i denti anche per mordere.

Quando, però, in questa operazione di selezione, qualcosa va storto, ci scandalizziamo, chiediamo che si prendano provvedimenti contro i cani, magari contro qualche particolare razza che, nell’immaginario collettivo, ma quasi mai nelle statistiche e negli studi documentati, viene identificata come più feroce e mordace delle altre.

E’ un atteggiamento radicalmente specista dove l’amicizia, in realtà, c’entra poco o nulla. Manipolare i cani per fare in modo che rispondano alle nostre esigenze, per poterli meglio utilizzare e sfruttare è, infatti, una forma di dominio che caratterizza il nostro normale rapporto con loro e con tutti gli altri animali.

All’opposto, una forma essenziale di rispetto e di amicizia, dovrebbe spingerci, tanto per cominciare, a considerare i cani come individui dotati di una naturale aggressività. Individui che potrebbero usare i denti proprio come noi potremmo utilizzare le mani. Individui che, una volta sottoposti a forti cariche di stress (come ad esempio durante la prigionia, quando si è costretti in ambienti malsani e isolati, quando manca la socialità con i simili) potrebbero trasformare questa naturale aggressività in un vero e proprio attacco. Esattamente come accade a noi umani.

Questo rispettoso riconoscimento, allora, ci spingerebbe con più facilità a cercare di capire il loro linguaggio, i loro messaggi, i loro bisogni essenziali, ci spingerebbe a riconoscere il disagio che esprimono, a prendere provvedimenti per cercare di arginarlo, per smettere di provocarlo.

In realtà, i trafiletti che documentano le aggressioni da parte dei cani, raramente ne forniscono anche una dettagliata ricostruzione e tendono, più che altro, a sottolineare la ferocia del cane e il dramma della vittima umana. Ma a voler approfondire, poi, viene alla luce quasi sempre una situazione di frustrazione, di isolamento, di squilibrio da parte del cane che, nel corso della sua vita, non ha avuto la possibilità di confrontarsi, di fare esperienze, di distinguere una normale situazione da una reale minaccia per la sua incolumità. Nella maggior parte di questi casi, infatti, il cane aggredisce proprio per difendere se stesso o i suoi cuccioli, per rispondere a ciò che percepisce come un pericolo imminente. Anche se non è tale. Si scopre, allora, come il malaugurato incontro è stato carico di malintesi, come è arrivato al drammatico risultato finale dopo una lunga serie di difficoltà da parte del cane stesso che, dal canto suo, ha tentato in ogni modo di comunicare un disagio.

Ma la risposta al disagio di un cane, quasi sempre, è la reclusione in un canile dove la paura, l’isolamento, la depressione, la rabbia, immancabilmente, aumenteranno, fino a diventare un baratro senza vie d’uscita. Il cane che esprime un disagio, infatti è identificato come una scocciatura, un fastidio. Difficilmente si cerca di mettere in discussione le motivazioni che l’hanno generato, difficilmente si è disposti a prendere i provvedimenti essenziali, che necessitano di attenzione e professionalità.

Dopotutto, le nostre comunità, che consideriamo così pacifiche, evolute e liberali, ma che soprattutto consideriamo essere composte da individui umani e superiori, non sono disposte ad andare incontro ai cani, a compiere il minimo passo indispensabile, a studiare il loro linguaggio, le loro elementari caratteristiche etologiche, il loro modo di esprimersi e di comunicare. Non sono disposte ad adattare le architetture, i paesaggi, gli stili di vita tenendo conto anche della loro presenza. Così continuiamo a scegliere i nostri cosiddetti migliori amici in base al colore del pelo, alla razza, alle mode o alle caratteristiche fisiche che potrebbero tornarci utili, che potrebbero piacerci o intenerirci. Continuiamo a comprarli e a venderli come merce che stocchiamo nei canili quando smette di soddisfarci o crea qualche problema di convivenza. Veri e propri campi di concentramento dove i cani che esprimono un disagio vengono rinchiusi. Luoghi dove non è possibile neppure iniziare un percorso di recupero. Ed è qui che finiscono i cani che mordono. Senza via d’uscita.

Ma i cani, quando ci mordono, esprimono un disagio esistenziale che ci riguarda profondamente, lo fanno quando, arrivati ormai al limite della frustrazione, non hanno altra scelta. Sono la rappresentazione del baratro specista a cui li stiamo conducendo. E invece di cercare di comprendere, riparare, favorire, tendiamo a creare lo scandalo della bestia feroce, fin quasi a dimenticare che stiamo camminando insieme a loro da millenni, un privilegio che, probabilmente, non abbiamo mai meritato.

Questo testo di Troglodita Tribe è stato letto durante la trasmissione radiofonica “Restiamo Animali” che si può ascoltare per intero qui.
Un seguito alle riflessioni scaturite dal nostro libro “Chiudiamo i canili” Ortica Editrice

4 commenti »

  1. In modo molto sintetico, il mio pensiero è che si prende un morso da un cane semplicemente se lo è cercato.
    Non bisogna fare l’errore di “umanizzarli”. L’ uomo è l’ unico animale che infligge dolore anche senza un valido motivo.
    Un cane è un cane e ragiona secondo logiche semplici: siamo noi che vogliamo sempre complicare tutto.
    Non so se ti avevo già detto, forse si, alla fine dello scorso anno (al termine di un periodo “dog-less” di tre anni, unico nella mia vita) ho intercettato un meticcio di 7-8 mesi scappato da chissà dove, prima che finisse al canile. E’ un mix fra pitbull, mezzo dogo e non so cos’ altro. Da quando siamo insieme stiamo sperimentando dal lato passivo il significato di “razzismo”: siccome non mi bastava la gente che cambiava lato della strada perchè non avevo la mascherina, adesso mi toccano pure quelli che quando passiamo imboccano la prima traversa.
    Non è normale, tutto questo non è normale.

    Commento di 2010fugadapolis — 21 luglio 2022 @ 4:32 PM

    • *…è che CHI si prende un morso…*
      refuso… 😉

      Commento di 2010fugadapolis — 21 luglio 2022 @ 4:33 PM

    • È normale, perché siamo in un Paese ad elevata densità di ignoranti, a cominciare dai giornalisti che, come detto nell’articolo, non vanno mai a verificare lo stato di deprivazione o mala gestione in cui era tenuto l’ incriminato.
      Te lo dice una che salva i molossi dai canili del Sud. Ne ho uno da 3 anni in box che non ha richieste, solo per il suo aspetto.
      Poveri cani.

      Commento di Raffaella — 11 gennaio 2023 @ 4:00 PM

      • Ti capisco bene! Anche noi, in Sicilia… Proprio una molossa abbandonata in una discarica…

        Commento di Fabio Santa Maria — 11 gennaio 2023 @ 4:04 PM


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