Chiudiamo i canili è un piccolo libro che nasce, sin dal titolo, come una forte provocazione.
L’idea è quella di pungolare e stimolare riflessioni sul concetto stesso di canile, sulla sua architettura, sulla sua filosofia, soprattutto sul fatto che lo diamo per scontato come unica possibile soluzione oramai da troppo tempo.
Dopo anni di volontariato nei canili abbiamo potuto respirare in prima persona il suo essere una vera e propria struttura concentrazionaria, una galera a tutti gli effetti insomma, un luogo dove vengono detenuti i cani che hanno la sola colpa di essersi persi, d’esser stati abbandonati, di essere scappati o di essere nati liberi.
La nostra riflessione, allora, è cominciata proprio da qui, dal chiederci il perché, dal chiederci come fosse mai possibile che un’ingiustizia così plateale passasse inosservata fino al punto di essere data per ovvia e, soprattutto, di essere considerata un male necessario.
Il libro è quindi suddiviso essenzialmente in quattro parti che s’intitolano
Il passato
Il presente
Il futuro verso l’utopia
Il futuro verso la distopia.
Il passato è una breve storia disinvolta dei canili dove si racconta quando e perché nascono, come vengono organizzati e che cosa determinano nel nostro immaginario. In altre parole come riescono a cambiare il nostro modo di percepire i cani che, proprio grazie alle esigenze sanitarie a cui si risponderà drasticamente con le catture e gli abbattimenti generalizzati, diventeranno, se trovati liberi sul territorio, dei pericolosi latitanti da catturare e giustiziare al più presto.
La storia dei canili ci fornisce la chiave per comprendere meglio il nostro odierno rapporto con i cani, il nostro averli trasformati in pet, cani-merce, cani-robot che, se non rispondono a determinati requisiti standardizzati, devono essere catturati e rinchiusi.
Tutto questo è perfettamente in linea con le strategie speciste fondate sul dominio che prevedono la reclusione di tutti quegli individui che non si adeguano o che, per i motivi più disparati, vengono considerati fuori norma, diversi.
Non a caso, le stesse obiezioni che oggi piovono su chi propone l’abolizione dei canili, venivano esternate, prima del 1978, a chi proponeva di chiudere i manicomi.
Dove li metteremo, poi, tutti i matti?
Quando però, grazie agli studi, alle testimonianze, alla controinfomazione, si comprese che la soluzione era di gran lunga peggiore del problema, si dovette accettare che una plateale ingiustizia non può essere sostituita, ma solo abolita perché soltanto sulle sue ceneri sarà possibile ricostruire una convivenza più serena con chi è stato rinchiuso, umiliato, perseguitato.
La seconda parte del libro, quella relativa al presente, descrive le caratteristiche essenziali dei canili, le sensazioni che si provano entrando e partecipando alla vita quotidiana degli internati. A tutt’oggi, nonostante le diverse riforme e le tante battaglie, i canili restano veri e propri luoghi di detenzione, campi di concentramento dove i cani vengono ammassati e isolati dalla comunità. Li troviamo spesso, infatti, nei pressi delle discariche o in luoghi marginali. La loro struttura è studiata per facilitare il lavoro degli addetti, i box sono uguali e allineati, tutti con la stessa metratura, tutti con il pavimento in cemento. I cani internati soffrono spesso di depressione, stress e molte altre problematiche.
Un cane, come è noto, è un animale sociale e isolarlo dal mondo è indubbiamente una vera e propria tortura che peggiora il carattere abbassando, con il passare del tempo, le sue possibilità di essere adottato ed inserito nelle nostre comunità.
I canili, oggi, in un perverso disegno consumista che riduce il cane a merce, sono strettamente connessi agli allevamenti che sfornano di continuo nuovi nati per immetterli sul mercato. Notoriamente, quando una merce stanca o non soddisfa pienamente deve essere rottamata. E qui entrano in gioco i canili che, nonostante la buona volontà, l’impegno, l’attenzione nei preaffidi e il costante volontariato, sono costretti a raccogliere tutti i cani rifiutati.
Si attua così un circolo vizioso senza fine: da una parte si immettono cani senza alcun criterio, dall’altra si raccolgono gli scarti di produzione.
A questo punto il nostro rapporto con i cani si trova ad un bivio e sta a noi scegliere se muoverci verso l’utopia o verso la distopia.
Dovremmo cominciare, con la massima urgenza, a destrutturare un immaginario fortemente legato al cane merce, dovremmo riuscire a superare il concetto di padrone, dovremmo smetterla di considerare i cani come se fossero i nostri figli lasciando loro maggiori spazi di autonomia e di scelta. Dovremmo riuscire a stringere legami e, nello stesso tempo, ad allentare i guinzagli. Certo che è difficile, certo che l’ambiente spesso sembra non consentirlo, ma dobbiamo partire dal presupposto che l’ottanta per cento dei cani del mondo, ancora oggi, vivono in libertà o sono solo parzialmente controllati da noi umani. Invece di pensare a strutture di contenzione e carcerazione, allora, dovremmo riflettere sul fatto che la svolta che abbiamo dato al nostro rapporto con i cani è radicalmente sbagliata, letteralmente devastante. Ci vuole quindi un decisivo passo indietro per riuscire recuperare questo magnifico e millenario rapporto che stiamo perdendo inesorabilmente.
L’alternativa è la distopia di una vita senza cani. Quella dove li avremo definitivamente trasformati in cane-merce, solo un lontano ricordo di quella complicità, di quella scelta reciproca, di quell’incontro con i cani che ha avuto un profondo significato nella nostra evoluzione.
Nel libro, questa distopia, la descriviamo attraverso un racconto apocalittico in cui gli e-doggy della Kanis International, sofisticati automi che si possono aggiornare e cambiare in relazione alle esigenze personali, sostituiscono, giorno dopo giorno, i cani veri.
Chiudiamo i canili, ha un taglio radicale.
Non è un saggio ragionato che fornisce delle tesi ordinatamente argomentate.
L’abbiamo scritto animate da una profonda urgenza. Volevamo un libello provocatorio sin dal titolo che si schierasse radicalmente contro la mentalità, l’ideologia, la psicologia, l’etica e l’architettura del canile, che ne smascherasse l’inaccettabile ingiustizia e la sostanziale inutilità, un libello in cui poter sparare tutto quello che quotidianamente vedevamo e sentivamo, senza sconti e senza ipocrisie.
Avevamo proprio l’impressione che mancasse, che ce ne fosse un gran bisogno, che in tanti e tante lo aspettassero, ce l’avessero sulla punta della lingua e delle dita.
Il libro (Chiudiamo i canili di Troglodita Tribe, Ortica Editrice, pag 100 ero 10 può essere richiesto in libreria o sui principali store online.