La buona notizia è che sono riuscito a incrociare la ragazza del terzo piano.
Siamo entrati insieme in ascensore e abbiamo scambiato qualche parola. Era più di un mese che ci sorridevamo da lontano e adesso finalmente è qui.
Solo che c’è anche la cattiva notizia…
Tra il primo e il secondo piano l’ascensore si ferma di botto.
Schiaccio di nuovo il terzo e niente. Schiaccio il piano terra e neanche a parlarne.
A molti potrebbe sembrare l’occasione d’oro, quasi da film. Ma se in ascensore c’è un ansioso, la commedia sentimentale si trasforma puntualmente in dramma. In alcuni casi anche in horror.
Il fatto allucinante, poi, è che non posso certo esternare quello che penso come se niente fosse. Non posso uscirmene bello bello col classico: “Ormai è finita, moriremo soffocati!”.
Oltre all’angoscia claustrofobica d’esser chiuso in questa maledetta trappola, devo pure fingere che si tratti di un normalissimo inconveniente, una cosa che si risolve in pochi minuti. Il tempo di suonare l’allarme e il portiere aprirà le porte.
Già, ma se ci fermiamo tra un piano e l’altro, come diavolo fa il portiere ad aprire le porte?
Il solito drammatico-ansioso-catastrofico!
Come vuoi che faccia? Come sempre! All’ultimo piano c’è un locale-ascensore da dove si può manovrare la cabina manualmente per riportarla al piano e aprire le maledette porte. Lo sanno anche i bambini.
Al limite, se proprio non si riesce ad aprire, si chiama in soccorso qualcuno. Sulla pulsantiera dei comandi c’è sempre un numero di telefono: basta chiamare e arriva il tecnico col suo bel borsone di attrezzi che mette tutto a posto.
La mia mente galoppa alla velocità della luce.
E mentre immagino il tecnico che corre col furgone a sirene spiegate, che rimane senza benzina, che chiama un altro tecnico, che lo fanno attendere in linea tre quarti d’ora, che non ci sono più tecnici disponibili perché proprio in quel momento si sono bloccati altri cento ascensori della stessa azienda, mentre immagino anche il portiere che sale le scale con l’affanno per arrivare al locale ascensore, mi rendo conto che sono passati solo dieci secondi da quando siamo fermi tra il primo e il secondo piano. E nemmeno cinque da quando ho premuto il pulsante dell’allarme.
Lei mi guarda un po’ preoccupata e dice: «Cavolo, si è bloccato l’ascensore!»
Schiaccio di nuovo freneticamente il piano terra.
«Già, sembrerebbe proprio bloccato…» confermo, cercando di non guardarla.
Il solo fatto di ripetere che l’ascensore è bloccato mi manda sempre più nel panico. “Bloccato” è proprio un termine che non si dovrebbe usare dentro un ascensore bloccato. “Fermo” magari, oppure “in pausa”, o ancora meglio “momentaneamente indeciso se muoversi verso l’alto oppure verso il basso”…
Ma non “bloccato”!
“Bloccato” ha quel suono così irreparabile, è l’anticamera di un attacco di panico.
Che poi non posso nemmeno permettermelo, visto che sono bloccato con una ragazza che ora aggiunge anche di aver paura di rimanere intrappolata in un ascensore. E lo sottolinea pure, quell’intrappolata, come se fosse la camera della morte che tra poco si riempirà d’acqua facendoci annegare senza scampo.
«Ma no, non c’è da preoccuparsi» le dico in un rantolo strozzato con quel po’ di ossigeno che ancora mi è rimasto in corpo. «Abbiamo appena suonato e ora il portiere ci aprirà le porte. Un po’ me ne intendo di ascensori. Sono ipersicuri, hanno il doppio cavo, le guide laterali, il limitatore di velocità, il freno. E poi, in caso di guasti si manovrano a mano dall’alto…»
«Te ne intendi davvero? Sei un ingegnere?»
Ecco, ora diglielo che ti sei buttato a studiare come funziona l’ascensore solo perché eri terrorizzato di precipitare dall’ottavo piano, o di rimanere bloccato – anzi intrappolato – fino a morirci dentro per il panico. Diglielo che hai calcolato la media dei tempi utilizzati dai tecnici per ogni intervento e che solo dopo aver scoperto – statistiche alla mano – che era molto più probabile cadere dalle scale che dall’ascensore, ti sei deciso a utilizzare quello del condominio.
Invece, da bravo ipocrita, riesco anche a sorridere e a dirle che no, non sono un ingegnere, ma scrivo racconti e allora sono sempre molto curioso di scoprire come funzionano le macchine. Tutte le macchine.
Poi l’ascensore comincia a muoversi lentamente, con piccoli balzi da brivido.
«Ecco», confermo, «qualcuno dall’alto sta riportando la cabina al piano. Lo sapevo io che non c’era da preoccuparsi!» E lo dico mentre in realtà sto pensando che quei balzi potrebbero essere anche dovuti al freno che inizia cedere, o alle guide laterali usurate per un cortocircuito.
Lo dico e trattengo il fiato. La guardo, sorrido e trattengo il fiato.
Dopo un paio di minuti di apnea ci fermiamo. Provo con le mani e le porte si aprono quel tanto da permetterci di sgattaiolare fuori.
Siamo al pianterreno: mi riempio d’aria i polmoni e la vita torna a splendere in tutto il suo meraviglioso fulgore.
Ci presentiamo e lei mi chiede addirittura se gradisco un caffè al bar. Così, giusto per riprenderci.
Alla parola “caffè” mi ricordo di essere un ansioso.
Molto meglio un orzo, altrimenti sai il casino che combino?
da “VERSETTI IRONICI CONTRO L’ANSIA” di Fabio Santa Maria Incipit23 Edizioni
Ansia da ascensore, da aeroplano, da esame! Ansia di parlare in pubblico e di morire all’improvviso! Ansia senza motivo e ansia a 180 battiti al minuto! Ansia da ritardo, da parcheggio, da esame e da colloquio di lavoro. Ansia d’amore e ansia di aver lasciato aperto il gas…
Finalmente tutte le ansie del mondo unite in cinquanta micro racconti, un libro per distrarre l’ansia, per soffocarla di risate, per farla precipitare dalle scale. Con il contributo di ANA LISTA, la consulenza di MANCA LARIA e la post fazione di MORI REMO.
Disponibile subito (prima che sia troppo tardi!) nelle più ansiose librerie d’Italia e naturalmente anche online! Qui il book trailer